Strategie non chemioterapiche per la cura di linfomi follicolari

Area di ricerca: Oncologia

Con la diagnosi di cancro, lo shock per Giorgio P.* (62) e i suoi familiari è stato grande: la sua vita da allora è cambiata, il futuro appariva incerto e le domande erano moltissime. Una su tutte: quale terapia adottare?

Descrizione del progetto

Fin dagli anni Novanta, il Gruppo Svizzero di Ricerca contro il Cancro (SAKK), di cui anche l’EOC fa parte, ha istituito tra i suoi molti progetti uno studio sui linfomi follicolari, una forma di linfoma non-Hodgkin caratterizzata dalla proliferazione di linfociti B. Nello specifico, si è occupato di capire se l’anticorpo di sintesi rituximab potesse rappresentare una valida alternativa alla tradizionale chemioterapia. Il rituximab ha infatti la caratteristica di riconoscere una struttura specifica – l’antigene - presente su alcune cellule umane, e aderirvi. Per ottenere il suo scopo, il rituximab è stato realizzato in modo da riconoscere l'antigene CD20, presente sulla superficie di tutti i linfociti B. Aderendo all’antigene, il rituximab causa la morte della cellula cancerogena, contribuendo alla cura del linfoma.

Questa scoperta è stata di estrema importanza per la cura contro il cancro, offrendo la possibilità di utilizzare al meglio l’efficacia dell’anticorpo combinato alla chemioterapia. I risultati sono evidenti: se negli anni Novanta un paziente con linfoma follicolare aveva una mediana di sopravvivenza pari a 10-12 anni, oggi un paziente con la stessa diagnosi ha una sopravvivenza mediana di oltre 20 anni.

Il SAKK ha tuttavia proseguito i propri studi in questo campo, verificando se l’azione dell’anticorpo potesse avere gli stessi effetti positivi anche non in combinazione con la chemioterapia. La chemioterapia viene dunque somministrata soltanto ai pazienti che la necessitano, con conseguenti benefici sugli effetti indesiderati. Oggi questo approccio riscuote enorme interesse: i dati dimostrano che nei gruppi di chi comincia la cura con l’anticorpo e di chi riceve la chemioterapia soltanto ed eventualmente in un secondo tempo, a 10 anni dalla terapia è vivo l’80% dei pazienti.

Giorgio P. è uno dei pazienti che ha beneficiato degli sforzi compiuti dal SAKK nella battaglia contro il cancro. È a questi studi che Giorgio P. e la sua famiglia deve la propria sopravvivenza.

*Nomi e immagini sono totalmente anonimizzati.

La scoperta del SAKK è stata di estrema importanza per la cura contro il cancro, offrendo la possibilità di utilizzare al meglio l’efficacia dell’anticorpo combinato alla chemioterapia.

Responsabile del progetto: Prof. Dr. med. Emanuele Zucca, Viceprimario Unità linfomi, Istituto Oncologico della Svizzera Italiana - EOC

Collaborazioni: Gruppo svizzero per la ricerca clinica sul cancro (SAKK), compagnie farmaceutiche, Nordic Lymphoma Group

Sostenitori:  Segreteria federale alla ricerca (SEFRI)